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   Vedretta del Porola, 13/04/2022
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Lombardia
Partenza  Agneda  (1200 m)
Quota attacco  2400 m
Quota arrivo  2700 m
Dislivello della via  300 m
Difficoltà  AD- ( pendenza 50° )
Esposizione in salita Nord
Rifugio di appoggio  Capanna Mambretti
Attrezzatura consigliata  ramponi e piccozza
Itinerari collegati  nessuno
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento La crisi d’astinenza alpinistica si fa sentire sempre più pulsante e a tratti rasento l’insofferenza. Qualche vago programma per maggio ( Ste mi dice che vorrebbe fare il Tua, e Simone più convinto mi chiana per l’avventura negli Spiz,in Dolomiti)) mi spingono ad allenarmi ma tra Greg e soffitta non riesco a staccare dalla routine quotidiana. Poi l’incontro casuale con Oriana che mi dice di Fil e della sua voglia di montagna, costruiscono l’alibi perfetto e così ottenuto l’ok da Dani, siam pronti alla partenza. Fil è un ragazzo giovane del 2005, molto forte fisicamente ma senza esperienza per cui mi organizzo per una sorta di esplorazione in una zona che mi ha sempre attirato e in cui son passato solo una volta e di corsa scendendo dalla Nord dello Scais: la Vedretta di Porola. In particolare mi ha sempre intrigato provare a raggiungere la spaccatura che c’è fra la parete Nord dello Scais e quella del Porola. Spacco che si vede molto bene anche dal bacino di Coca e su cui non ho trovato informazioni neanche sul Web o consultando l’orobiologo Alessio Pezzotta. Dalla parte di Coca c’ è un canale roccioso/ghiacciati inverosimilmente verticale e stretto mentre dalla parte Valtellinese l’accesso forse potrebbe essere più semplice. Alla fine si ricompone il trio dei Lagorai con Gio, mio figlio e grande amico di Fil che ha deciso di esser della partita nonostante la pubalgia di cui soffre a tratti e la festa di 18° da cui tornerà poco prima della levataccia programmata. Alla sera mentre torno dal lavoro passo a pendere Fil e dormiamo nell’ex stanza di Robi. Alle 4 del 10/4/2014, suona la sveglia e a fatica parlo con Giona per levarlo dal sonno duro durato solo 1 ora per lui. Comunque poco prima delle 5, riusciamo ad abbandonare Crema e a dirigerci verso la Valtellina via Milano-Lecco. Presa la deviazione a dx per la Val Caronno, risaliamo verso la bellissima piana dopo il villaggio di Agneda dove arriviamo per le 7.30 e parcheggiamo. Oltre inizia il viaggio verso questa bellissima solitaria e dimenticata valle che conduce verso uno fra i più belli, suggestivi e selvaggi angoli orobici. La palina in legno racconta del POV(Parco delle Orobie Valtellinesi) e certo basta alzare lo sguardo verso le guglie svettanti del Medasc e della Cima Soliva per credere alle meraviglie descritte. Anche il Pizzo Cavrin osserva un poco invidioso la bellezza dei due compagni imporporati di neve per le recenti nevicate e baciati dai primi raggi del sole che scalda i loro riccioli bianchi. Alle 8 partiamo a battere l’ampia carrareccia che a tornanti già imbiancati sale vs la diga di Scais. Deviamo a sinistra passando sul ponte del fiume Caronno guardando ammirati le profonde forre piene di acqua verde scuro proprio sotto di noi e alle 8.45 siamo al lago, alla diga e alle Case di Scais dove facciamo qualche foto(bella vista sul Pizzo del salto e il sottostante Passo del Forcellino) e subito ripartiamo salendo nel ripido bosco infiltrato di raggi luminosi e infine baciare il sole che ci attende illuminante oltre gli abeti intento a colorare d’oro la stupenda piana che ospita l’Alpe di Caronno(q.1620,h 9.15). Giona ci lascia senza sonno e con un dolorino all’inguine che gli fa preferire la tranquillità di quest’oasi assolata di pace al perpetuarsi del nostro salire fra le nevi che ci attendono. Ormai davanti a noi si stagliano i giganti di questo regno ramingo: Pizzo Scotes,Cime di Caronno,Porola e le formidabili bastionate del Torrione Occidentale di Scais e del Pizzo della Brunone che continua roccioso con le Cime di Brunone che vanno a saldarsi alla scogliera del Medasc. Un uomo con cui abbiam parlato al parcheggio ci precede ma non vediamo le sue tracce sulla neve gelata come marmo e neanche dove sia esattamente il sentiero per cui opto per tenerci a destra e superare poi il fiume salvo poi ripassarlo, visto l’errore, per tornare a sinistra e infine su per il bosco a caso finchè usciamo poi in una zona meno nevosa e infine a ritrovare in alto il sentiero e poco dopo anche la visione ormai vicina del rosso tetto della Capanna Mambretti(q.2000, h 10.30) riparo anche di tantissimi bei ricordi dell’indimenticabile cavalcata su per la Cresta Corti. Mi sembra di rivedermi in compagnia di Nico guardare il mostro pronti alla sfida. Mangiamo qualche barretta e poi fotografata la Vedretta che da qui mostra il suo lato più ripido e alto sul lato sinistro, riprendiamo la marcia traversando su terreno libero da neve fino ad arrivare dove inizia il nevaio all’incrocio fra la vedretta di Porola a sx e quella di Scais a destra. Saliamo su blande pendenze passando sotto le belle pareti del Brunone e puntando poi l’immenso scudo roccioso su cui poggia la Cresta corti. A mezzogiorno siamo nei pressi dell’attacco della Cresta Corti che ovviamente non raggiungiamo ed entriamo nel terreno ignoto che ci aspetta a sinistra. Mezz’ora dopo troviamo una roccia in mezzo al nevaio ed essendo la neve sempre molto dura e gelata, propongo a Fil di fermarci per mettere comodamente i ramponi. Davanti a noi la Vedretta chiusa fra il bastione della Cima di Caronno a sx e le pareti della cresta Corti a dx. Riprendiamo a salire su pendenze costanti ma sempre moderate cercando di seguire la linea di minor pendenza e ci avviciniamo così alle rocce basali della Cima di Caronno: levigate e lustrate dal ghiacciaio che fu. La neve ora comincia a smollare e cerchiamo le zone di maggior resistenza allo sprofondamento. La fatica inizia a farsi sentire e raggiunta un’area semipianeggiante circa a 2500 m., decidiamo di fare una piccola sosta. Sono le 13.15 e fil ci arriva provato,anzi proprio sfinito. E’ giovane e quando gli si è accesa la luce rossa della riserva..è proprio finito. Io intanto penso a cosa fare e termino la mia ultima goccia d’acqua. Non c’è dubbio che bisogna arrivare al roccione triangolare posto un centinaio di metri sopra di noi e che probabilmente segna sia il termine delle difficoltà che il punto di cambio di pendenza da cui finalmente potremo osservare il bacino superiore della Vedretta e forse anche il mio punto fatidico. Sopra di noi incombono i roccioni levigati del Caronno e dall’altra parte l’infinita cresta che taglia il cielo come una lama di spada seghettata. Convinco Fil, che si era proposto di aspettarmi, a provarci che ci vorra’ un quarto d’ora max mezz’ora, e allora parte lui a fare la traccia nella neve che diventa sempre più sfondosa. Il suo impeto sfuma, l’inclinazione aumenta e ripasso davanti: salendo ho abbandonato l’idea di fare la esse sulla vedretta seguendo la linea di minor pendenza e preferendo cercare neve più assestata sul lato sinistro. Ora spostarsi a destra richiederebbe troppa fatica e allora non resta che puntare dritti all’uscita anche se così facendo incontreremo la pendenza maggiore. Per raggiungere un roccione mi sposto ancora un poco a sinistra e mi volto a fotografare Fil impegnato e sicuro sul primo tratto tecnico della sua vita: 50° e con picche e ramponi su neve comunque sfondosa che mi da garanzie per lui. Scivolare qui significherebbe solamente trasformarsi in pupazzi di neve. Ora tendo ancora a spostarmi a sinistra anche se l’uscita è più alta per evitare il pendio aperto e ancora più ripido. Pochi passi e sono fuori: riconquisto la posizione eretta e su un onda di neve immacolata veleggio fino ad incontrare il punto più pianeggiante. Il roccione triangolare è sotto di me e sono sul punto più alto della rima d’uscita. Il bacino di Porola si stende pianeggiante davanti a me e raccoglie le rocce precipiti dello Scais e del Porola. E vedo, ora lo vedo coi miei occhi, il colletto nevoso,la gengiva bianca che unisce le due montagne fisicamente e il blu infinito del cielo che le unisce in spirito. Esco dal sogno e mi volto ad osservare Fil che arriva incurante della traccia-trincea che avrebbe dovuto seguire e che lo invito a riprendere per faticare meno. Sono le 14.15 e siamo a quota 2700mt. Mi raggiunge esausto, raggiante e rosseggiante perché non ho pendato alla crema solare e ci scambiamo un cinque di gioia. Siamo entrambi cotti e ci sediamo nella neve: lui guarda il fondovalle così lontano, io guardo la mia bocchetta fantasma cosi’ vicina. Ma non me la sento di farlo aspettare e tornare troppo tardi dai suoi e allora via con le foto che qui ci ritorno. Mettere insieme tutta la Cresta Corti che da qui si vede dall’inizio alla fine, richiede ben quattro foto. Ammiriamo il panorama dall’altra parte su cui emerge la grossa mole del Rosa e degli altri colossi del Vallese, e fra cui si vede anche la punta del Cervino. Alle 14.45 ci solleviamo dagli zaini appoggiati sulla neve e scendiamo faccia a valle e a monte il tratto più ripido anche perché la neve cotta crea ora un pericoloso zoccolo. Ma Fil nonostante la stanchezza si muove in maniera egregia e velocemente perdiamo quota. Alle 15.30 siamo nuovamente al sasso dei ramponi dove stavolta li leviamo e ci rimane solo il nevaio che morbidamente ora scende verso la Mambretti. Fra qualche cedimento e terreno diurupato scendiamo fino a quando voltandomi vedo un cielo incredibilmente blu scuro e chiedo a Fil se era così anche prima. Mentre mi risponde di no capisco che è l’effetto del sole che spostandosi dalle cime non illumina direttamente la volta che quindi appare blu cobalto. Scatti d’ammirazione verso la corona di cime che salutiamo, verso la parete dove con Nico siamo saliti e che ritraccio nella mia mente e poi quella magnifica del Brunone e poi quasi ormai alla Mambretti l’eccezionale colpo d’occhio che tutte le racchiude. La luna sorge sul Pizzo Scotes e capisci perché in Tibet vedon le stelle di giorno. Intanto alle 16.30 raggiungiamo il Resort Mambretti Paradise. No people! Tutta questa meraviglia è incredibilmente per noi che siamo gli unici ospiti e pure gratuita. Foto alla Capanna dal cui tetto rosso spuntan come bruni funghi le appuntite cime che fanno il solletico ad un cielo blu illegale. Che meraviglia! Starei ore steso sul prato a vivere sdraiato mordicchiando il filo d’erba che gioca fra le mie labbra, aspettando di sentir svanire il le carezze del calore del sole e attendre il soffio freddo della sera. Ma dobbiamo tornare e vincere la tentazione di fare tre tende per rendere eterna la nostra felicità. Vista incredibile su Badile e Cengalo e poi giù ripromettendomi di riuscire a seguire il sentiero smarrito nel salire. A fatica ci riesco per circa mezz’oretta poi si nasconde sul versante nevoso e finiamo chissà dove nel bosco a seppellirci continuamente di neve marcia in cui precipitiamo continuamente. Fil non regge lo sforzo e la fatica aggiunta e il silenzio del bosco è rotto dalle sue imprecazioni quasi disperate. Io procedo in direzione ostinata verso il fondovalle ma ormai il sottobosco ci ha dichiarato guerra e non vuol proprio farci passare. Ogni tanto chiamo Fil, ogni tanto lo rincuoro e ogni tanto lo lascio nel suo brodo, solo sincerandomi che non si fermi ma che continui a seguire la trincea che apro nel fronte del bosco. Fra un suo mugugno e l’altro finalmente arriviamo al piano di Caronno (16.30) dove gli sprofondamenti continuano e abbiamo pace solo quando arriviamo alla baita dove la neve è fortunatamente meno alta e un poco più compatta. Rivedendo Giona Fil esce per un attimo dal suo mutismo ma è un guizzo che dura poco perché bisogna nuovamente andare. Traversiamo prati costellati di crocus ognuno trincerato nel suo silenzio: il mio d’ammirazione, Fil nel suo rabbioso di stanchezza e Gio in quello a cui si è abituato nelle ore passate da solo. Ogni tanto li fotografo mentre scendon spalla a spalla nel bosco dicendosi qualcosa e ringrazio per la bellezza che stanno attraversando. Forse non la vedono con gli occhi, forse non la comprendono completamente,…forse, ma rimarrà come un pozzo d’acqua fresca custodito nei loro cuori e da cui sempre potranno attingere. Consegno ai ricordi fotografici le ultime struggenti e meravigliose immagini delle cime della testata di Caronno, l’improvvisa apparizione dell’immenso Disgrazia e poi è nuovamente Diga di Scais,bosco,stradina e fra le ora divertenti urla di Fil che si lamenta che non finisce mai, che c’è ancora tantissima strada, finalmente vediamo abbracciata dalla dolcezza della sera che scende la Piana di Agneda dove ci attende l’auto e una sorpresa. Arriviamo alle 18.30, incrociamo due giovani pescatori che ci mostrano il loro incredibile bottino: un enorme trota da 4 kg e 60 cm che ha su Filippo l’effetto di un farmaco miracoloso. Si riprende completamente, esce dal tunnel del passo dopo l’altro e inizia a parlare allegramente. Poi esausti riordiniamo il materiale e mi ritrovo nuovamente solo, i Metallica a tenermi compagnia e il mio sorriso mentre li guardo nello specchietto retrovisore abbandonati ad un sonno meritato e profondo. Poi è il turno di Radio Sportiva a tenermi sveglio e infine il loro risveglio, freschi riposati e a scherzare ridendo come matti nel fare le imitazioni delle interviste degli allenatori di calcio. Grazie Fil,grazie Gio..abbiate pazienza con questo vecchietto che ogni tanto prova a convincervi del senso magico della fatica del salire. Oltre c’è un mondo da scoprire. Berg hail. Foto1 la vedretta e il max punto raggiunto foto2 il sogno cerchiato Foto 3 zoom della bocchetta fra le pareti di Scais e Porola


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