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   Cima Bus del Diaol, Via Schuster, 20/09/2021
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Veneto
Partenza  lago del Mis (400m)
Quota attacco  1960 m
Quota arrivo  2150 m
Dislivello  200 m
Difficoltà  D- / IV+ ( IV+ obbl. )
Esposizione  Sud-Est
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  corde almeno da 30 mt ideali per il lungo avvicinamento oppure da 50
friend per il diedro e cordini per i mughi su cui far sosta
calate tutte rinforzate con nuovi cordini
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Stanchi com’eravamo, dopo la cena pesante, senza fumo in grotta e gli acari delle coperte lasciate nel loro bidone, dormiamo veramente bene. La luce filtra nella grotta e un chiarore arancione ci sveglia dolcemente: sono da poco passate le 6.30 del 10 settembre 2021 e ci gettiamo fuori a vedere il sorgere del sole che proprio in questo momento sta scavalcando le creste dei Pinei appena a dx dello Schiara e inonda tutto di luce. Viene normale nella cartolina in cui siamo inseriti inginocchiarsi e pregare..emozionarsi davanti ad un bagno di luce di cui siamo silenziosi e solitari testimoni. Scattiamo delle foto all’astro che s’alza e un selfie di noi immersi in questa luce vivida e arancione. Facciamo colazione più per dovere che per necessità vista la mangiata di ieri sera e poi salutata la parete della Croda Bianca che di profilo domina questo angolo di paradiso, le voltiamo le spalle per dirigerci verso il nostro obiettivo che appare magnifico stagliarsi di giallo/grigio calcare e mughi nell’azzurro terso del mattino. Un quadro e noi in attesa del ricongiungimento ammirati ed attoniti. Sono le 8 quando inziamo a farci largo tra i mughi seguendo la traccia che ci riporterà in un punto più alto del canalone roccioso risalito ieri sera, da dove proseguiremo vs l’alto fino ad arrivare con qualche saltello roccioso all’attacco della via proprio dove sale vs il cielo lo spigolo sudovest della montagna( m.1960, h8.30). Lo sguardo vs il basso dov’eravamo ieri è impressionante;un profondo canalone s’inabissa e dall’alto non si capisce se sia percorribile. Dall’altra parte del vuoto si vede il piccolo poggio di Forzela dei Arner, ora finalmente riconoscibile nel dedalo di guglie delle Covolere. Sono immagini quasi brutali di una natura selvaggia che fa l’amore con il vuoto. A destra la parete occidentale del Bus e una pochissimo invitante esile cengia che la percorre sfidando le leggi della gravità. Lontane nel sole del mattino splendono le massicce punte dell’Agner e del Sass Maor. Mi metto a cercare il marsupio che son convinto d’aver perso qui a maggio ma non ne trovo traccia e allora ci concentriamo sulla preparazione dello zaino con cui affronteremo la salita. Si sta bene per cui ci mettiamo solo la poca acqua che ancora abbiamo, dimenticandoci del cibo. Un poco di materiale e poi il resto lo appendiamo agli imbraghi. Zeno calza le scarpette mentre io da secondo salirò con gli scarponi. Facciamo con calma lasciando il tempo al sole di scaldare la roccia e alle 9.30 Zeno inizia a salire. Zeno sale verticalmente per una trentina di metri la facile ed articolata paretina soprastante, fino circa all’altezza del cengione con le due grotte, e subito sotto un evidente camino-diedro (35 m; II; questa è la variante “scorciatoia”; Schuster e compagni arrivarono qui dal cengione provenienti dallo zoccolo risalito partendo dalla Val Coraie) dove fa sosta su un bel mugo e dove ritroviamo il cordino da cui ci calammo la volta precedente. Ora c’è il tiro decisivo della via che l’altra volta Zeno per il gelo e per la mancanza di protezioni non riuscì a superare. Piazza una protezione sui lastroni che salgono ve il diedro che s’alza verticale e poi comincia a studiare come piazzare i friend all’interno della fessura che unisce le due facce della parete. Una volta che ci è riuscito si alza deciso facendomi dubitare delle mie possibilità quando lo vedo spaccare con le scarpette in aderenza, poi la seconda parte è meno tecnica e più di forza ed esce deciso a far sosta sul mugo appena sopra dato a dx che abbiamo le corde da 30 mt. Con gli scarponi io salgo di forza incastrandoli nel diedro e spingendo verso l’alto e appoggiandomi con il corpo alla roccia lateralmente. Era un poco che non spingevo così tanto e tra sbuffi e soffiate riesco a passare la parte più tecnica e poi afferrando buone prese ad issarmi sulla parte più atletica dove mi attende il sorriso del mio compagno. (20 m; IV+) Proseguio io obliquando a sinistra su facili rocce per una ventina di metri puntando a raggiungere una macchia di mughi più in alto a sinistra dove recupero Zeno ( 10m,II). Ora riprende il comando Zeno che sale obliquamente a sinistra portandosi in parete ovest fra rocce semplici ma estremamente friabili e pericolose per poi riportarsi diagonalmente verso destra fino ad una evidente macchia di mughi proprio sulla verticale della sosta precedente e all’inizio di una cengetta (30 m; II+). Da secondo capisco perché Zeno saliva così circospetto ed eccessivamente attento: è tutto da tastare e c’è poco di solido. Ora siamo nel folto di una macchia di mughi e sappiamo( ma non la vediamo) che da qua dovrebbe partire la cengia che ci riporterà verso il versante orientale della montagna. Ormai siamo alti sulla Montagna Brusada, sulle Covolere che dominiamo dal nostro pulpito che apre anche una bellissima visuale su due triadi di montagne: le vicine Croda Bianca,Mont Alt e Zimon de Peralora e le più lontane Sass de Mura,Piz de Mez e Piz Sagron. La visione diventa molto istruttiva sui nodi della Montagna Brusada e sul Col dei Sech che visti dal basso sono fra loro intrecciati quasi indissolubilmente. Son passate due ore dalla nostra partenza e Zeno guardando oltre i mughi che sembran nascondere solo tanto vuoto, dice di vedere una cengetta molto esile e difficile da raggiungere; poi mossi i primi passi dice che è meno peggio di quanto sembrava arrivarci. Sono spaventato da ciò che ci attende e ci aspetta dietro queste quinte di roccia che celano alla vista il nostro futuro. Essendo la cengia lunga 60 mt e girando quasi subito oltre uno spigolo ci mettiamo d’accordo sui comandi alla corda: 5 strattoni e io potrò partire. Dalla sosta si va verso destra lungo l’aerea cengia, inizialmente discendendo per 1-2 metri e poi proseguendo orizzontalmente con fortissima esposizione per una decina di metri, doppiando l’arrotondato spigolo sud-est, abbassandosi anche carponi sotto un tetto. In questo primo tratto guardar giù è da crampi allo stomaco: la cengia è solida e piatta come netto è il baratro pochi centimetri oltre. Cammino come un trapezista, guardando avanti allo spigolo che si avvicina e solo quando mi abbasso per uscire dall’altra parte mi viene in mente di scattare una foto. Dopo lo spigolo la cengia si allarga un poco e raggiungo Zeno sempre nascosto fra i mughi sotto un diedro che si alza e che lo dissuado dal voler tentare. La cengia continua ricoperta di baranci che attenuano la sensazione del precipizio che s’intuisce però appena oltre le ramaglie (60 m; II+,I). Poi prosegue ancora orizzontale intasatissima di mughi e leggermente ascendente, e sono io stavolta ad avanzare su questo sentiero d’aria e mughi sospeso nel nulla. Poi tocca a Zeno affrontare un ripido mugoso con la parete a sx e la Cima del bus che appare oltre il folto di mughi,finalmente visibile con la cresta che la raggiunge. Poi mi urla di salire che siamo fuori dal caos. (50 m; II). Questo tiro è incredibile perché non riesco ad alzarmi oltre l’incredibile muro di mughi che mi respingono: salgo sui rami coi piedi ma scivolo oppure i rami spingono il corpo all’indietro. Superato a fatica un tratto quasi verticale, ne trovo uno che lo è del tutto e faccio sforzi incredibili e ripetuti per riuscire ad oltrepassare l’ostacolo ma finalmente raggiunto Zeno e una fettuccia per la calata, capiamo che non ci saranno più ostacoli sulla via della cima. Vado avanti e con pochi passi fra i blocchi di pietra e i mughi, raggiungo la cresta sud del monte (II+, I), con Zeno che mi segue in conserva. Mamma mia che gioia, che emozione. Mi trovo ora dove per tanto ho sognato di poter essere. La strada è aperta e si svela davanti a noi. Quest’incredibile montagna non si smentisce mai e perfino da qui assume la maestosa forma di un anfiteatro che s’alza a forma di vela verso il cielo. La percorriamo in conserva verso nord fra i facili blocchi sommitali accatastati, superando poi un non intuitivo ed esposto passo di II+ in versante est per evitare un salto. Il panorama è incommensurabile e mi devo trattenere dal metter mano in anticipo alla macchina fotografica. Raggiungiamo un salto roccioso, che aggiriamo a sinistra per un canale con macigni incastrati (II+). Ci Portiamo verso il versante ovest per brevissima cengetta e aggirato un risalto arriviamo all’ultimo salto della cresta: una friabilissima ed esposta fessura, che va risalita direttamente (ottimo chiodo di calata all’uscita, qualche passo forse III°). Zeno torna capocordata e poi siamo in cima, anche se la cresta continua ancora come il tappeto rosso steso per l’arrivo di una maratona salendo con passi d’angelo verso il lontano punto più alto. Ci fotografiamo ripetutamente su questo tratto estetico come una passarella stesa quassù per riconciliarsi con il mondo. Muoviamo passi contemplativi su questi geolocicamente neravigliosi campi solcati (m’insegna Zeno la dizione corretta) diluendo nel tempo, senza fretta il nostro incedere verso l’apice. Fotografiamo la nostra gioia e l’universo di monti che la sorregge e poi alle 13.30 il monte comincia la sua delicata e subito dopo precipite calata vs la Forzela dei Pon. Non c’è più nulla da salire, ma solo restare e unire i nostri cuori al battito del cosmo. Spaziare con gli occhi a 360° a incontrare lo sguardo incantato di centinaia di cime raccolte attorno alla regina di oggi, abiatata da due esserini minuscoli che si agitano sulla sua sommità. Comincia dopo i selfie nostri il tour infinito: si vede proprio tutto da questa posizione meridionale ma molto centrale nell’arco alpino dolomitico. I dirupati Feruch e il più composto Piz de Mezzodì anticipano l’intera catena delle Pale di San Martino,che prosegue nel gruppo dell’Agner per finire nelle Pale di San Lucano. Dietro l’immenso scudo argenteo della parete sud della Marmolada. A destra il gruppo Civetta-Moiazza anticipa l’inseparabile Pelmo e l’immensa paretona del Monte Celo introduce tutte le punte dei Tamer e del Castello di Moschesin. Continuando verso Est Cima del Camin e Stornade stanno davanti a Spiz de Mezzodì e Talvena da una parte e gruppo dello Schiara dall’altra. In terza battuta le cime friulane col Duranno e il Col Nudo a farla da padroni. Dallo Schiara lungo le creste del Viaz dei Camorz e dei Camorzieri si scende al piano della Val belluna. Per poi risalire al Pizzocco e ai monti della sinistra Mis fra cui le Covolere(altri mondi arcani da esplorare) e la Roa Bianca. Dietro saluta il Sass de Mura coi suoi paggi. Ci godiamo il calore del sole e finiamo l’ultima goccia d’acqua rimasta, poi Zeno rovistando fra i sassi dell’ampia vetta trova sepolta una vecchia bottiglia rotta e una scatola di sardine arrugginita completamente…chissà…magari resti dei vecchi pionieri. Mi infilo nello zaino il collo della bottiglia a ricordo…chissà chi se l’è bevuta? Continuo a fissare il nodo intricato delle Covolere e della Montagna Brusada che da quassù svelano alcuni dei loro segreti, intrecciate di cime e guglie come mani strette le une alle altre. Tre quarti d’ora dopo iniziamo a scendere con dolcezza, a passi delicati e in silenzio per non disturbare un equilibrio secolare. Quassù è forte la sensazione d’essere ospiti, di esser in casa d’altri. Non abbiamo ancora un’idea chiara da che parte tornare a valle solo siamo d’accordo di scendere la montagna dalla via salita per poter esser certi che bastino le corde da 30 mt. Zeno dice che ci impiegheremo due ore, secondo me di più. Ripercorriamo a ritroso la cresta e poi facciamo la prima doppia sul tratto dei vertical mugo che tanto m’han fatto sudare in salita. Più agevolmente ci riportiamo all’inizio della terribile cengia che dovremo ripercorrere a ritroso. Zeno mi convince a percorrerla in conserva con lui che piazza protezioni intermedie e nonostante il mio timore, si rivela la scelta vincente perché un’ora dopo dalla partenza siamo già alle tre calate che ci porteranno a terra. Cammino tranquillamente sulla cengia mugosa seguendo il filo di corda che danza nell’aria e anche il tratto superesposto lo affronto tranquillo rubando per un attimo la serenità imperturbabile di Zeno. Ora il tratto più duro è alle spalle ma psicologicamente sto pagando la tensione della giornata e anziché rilassarmi mi sento a disagio in tutta questo esser appesi per aria. Ammiro Zeno che fischietta come fosse nel giardino di casa e sparisce oltre il mugo scendendo nel vuoto della doppia verticale con cui evitiamo il giro del terzo tiro. I rami del mugo sottoposti alla trazione violenta delle corde ansimano, scricchiolano e sibilano a tratti ma tutto sembra tenere. Eppure non riesco a non immaginarmi la scena del mugo strappato dalla montagna….abbiamo anche rinforzato la sosta con i miei cordoni d’abbandono…ma niente..voglio solo arrivare sulla terra. Il panorama, resta inquietante..siamo nell’aria! Riprendere l’azione m’aiuta a fare e non pensare e ad allegri balzi raggiungo Zeno. Le calate da fare restano tre perché c’era il traversino prima del diedro. Rinforziamo ogni sosta su mugo con altri cordini, offerta alle mie paure e dono per i prossimi salitori. Rimango teso e non voglio neppure buttare la corda per la prossima calata, essendo lui più esperto ma su insistenza del compagno le lanciamo insieme: la mia sfila meglio! ( secondo me ha fatto apposta per rincuorarmi..diavolo d’un Zeno). Alle 15.30 precise tocchiamo terra, esattamente due ore dopo l’inizio della discesa..ma Zeno ha messo il turbo. Recuperate le corde, data ancora un’occhiata in giro a veder di trovare il mio marsupio smarrito a maggio, mangiucchiato qualcosa e verificata l’assenza d’acqua da un piccolissima sorgiva dove al mattino Zeno era riuscito a strappare qualche piccolo sorso sabbioso… ci sediamo per la disputa sulla via di discesa. Zeno ritrova energie psicofisiche per pensare di affrontare la discesa dal canalone precipite vs l’ ignota Val covolera che poi vorrebbe discendere ma che so essere impercorribile per salti impraticabili e che andrebbero aggirati. Sono ormai le 16, alle 20 comincerà ad esser buio e gli dico che non me la sento…questi sono posti dove l’ignoto si affronta con la luce del mattino..non alla sera. Ne è convinto anche lui..poi faremo tardi anche già “semplicemente “ scendendo dalla Conosciuta Val dei Forti come abbiam fatto qualche mese fa. Risistemate corde,materiale e zaini alle 16.30 iniziamo a scendere per il canalone,valle che va ad incontrare più giù il lembo finale dell’alta Val dei Forti. Ci giriamo per l’ultima volta a fotografare da splendida prospettiva il mostro salito che nostra per intero la sequenza dei primi tiri e l’incredibile cengia che traversa a destra per poi sparire oltre lo spigolo orientale. Che meraviglia, che gioia che ora può esplodere libera da ogni timore ambientale. Un’ ora dopo abbiamo già bevicchiato alla fonte (scarsissima stavolta ) alla base della paretina che sale a Forzela de la caza Granda e disarrampicato lungo i salti del canale che scende alla Posta del Sass(1650 m) dove trovata lacquaaaaaa, ci siamo fermati ad apparecchiare su un bianco sasso calcareo la seconda puntata di Terra e Cibo. Beviamo beviamo e beviamo..e mangiamo incuranti della tarda ora…ma è il primo momento di vera pausa-relax della giornata. Tonno e olive con i loro olii saporiti farciscono le nostre fette di pane molle e le fette di salamino contribuiscono al recupero salino. Mezz’ora più tardi riprendiamo a scendere con Zeno che scende lungo l’orrido della valle e che mi invita a stare alto perché ci sono alcuni salti difficili( l’altra volta erano sepolti dalla neve!) . Passo alto sulla gola lasciandomela sotto a destra e restando in contatto vocale con Zeno fino a rinvenire tracce del sentiero che qua alto passa e che dopo aver lambito le pareti sotto il basamento della Croda Bianca, scende per vaghe tracce( dove ritrovo zeno intento a raccoglier pigne di mugo per farne liquore) verso il punto dove si ricongiuge alla valle per attraversarla( oltre salti di decine di metri…) e passare in destra orografica sulla cengia della cascata. Godiamo del sole che indora le pareti alte sopra di noi della Croda Bianca e del Mont alt e poi alle 19 ormai in ombra e un quarto d’ora prima di abbeverarci nuovamente dalle acque della val Covolera, abbiamo una istruttiva vista su Forzela dei Covoi Brusadi dove siam saliti ieri(…ma sembra una vita fa..) e sul landro da cui siam partiti. La sera scende rapida e veloce, a nutrirsi di luce e la Roa Bianca davanti a noi indica la via. Zeno mette il turbo per evitare il buio e dove muovermi per tenerne il passo…sguscia come una biscia nella freschezza dei suoi vent’anni fra mughi tronchi e ondulazioni del terreno che si vedon sempre meno nella penombra del fitto bosco. Alle 20 accendo la frontale e alle 20.15 sudati siamo alle acque fresche e chiare della Val Soffia dove io e Zeno il Talebeno( battezzato così per alcuni suoi approcci ideologici alla vita..vedi discussione sull’uso della frontale) ci prendiamo in giro e beviamo felici rinfrescandoci perché ormai è buio pesto..ma ormai è fatta perché di là inizia la forestale che ci porterà a Gena Alta. Camminiamo sull’ampia traccia spegnendo dove un poco di riflesso lo consente la frontale e poi sull’asfalto discorrendo di Dio e d’altre cose siamo spaventati dal saluto improvviso di alcuni anziani che seduti sulle sdraio contemplano la volta celeste. Che meraviglioso tocco di poesia per concludere due giorni wilderness, nella Natura del Creato. Alle 21 siamo all’auto, al lago del Mis. Dopo aver lasciato Zeno a Torre Boldone, alle 2.30 sottto la doccia, mi lavo con rimpianto dalla pelle i segni di quest’avventura tatuata sul cuore..insieme a qualche zecca residua! Foto1 alba dalla grotta Foto 2 un pezzo di via Foto3 la montagna
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