Home Gallery
Reports
Scialpinismo
Escursionismo
Roccia
Ghiaccio e Misto
Mountain Bike
Archivio
Itinerari
Scialpinismo
Escursionismo
Roccia
Ghiaccio e Misto
Fenio...menali
Forum
Ricerca
   Cresta Rondenino Aga Masoni..., 28/05/2020
Inserisci report
Onicer  oscarrampica   
Regione  Lombardia
Partenza  carona (1000m)
Quota attacco  2600 m
Quota arrivo  2750 m
Dislivello  300 m
Difficoltà  PD / II ( II obbl. )
Esposizione  Sud-Ovest
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  picca ramponi cordino
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento Dopo un paio di falliti accordi e subito l’ennesimo scherzo da(l ) prete, rimango solo ma non abbandono il progetto di fare la cresta Aga Rondenino( e provare poi a raggiungere il Masoni e lo Zerna), che ho in mente da tempo. Decido di partire leggero con scarponi e un solo piccolo cordino di sicurezza da 5 mm. Mi libero prima del previsto la domenica 24 maggio, e allora decido si partire al pomeriggio, facendo visita ad Alessio per restituirgli il sacchetto con i cimeli da lui persi durante un tentativo allo Scais e da me casualmente recuperati al Brunone passandovi in discesa dopo aver fatto il canale Tua(..a volte la vita..). Chiacchieriamo un poco, poi arriva anche Ste e progettiamo di ritrovarci in estate per la Dufour…mi salutano poco convinti del mio a dir loro troppo ardito progetto, vista anche la stagione, e mi danno il loro augurio…FBL. Mi rendo conto che il tempo è volato e mi sono giocato il tempo risparmiato…ma ne valeva la pena. Arrivo a Carona appena prima delle 20 e inizio a salire alle 20.15, mi spaventa la lettura dei cartelli che danno un tempo di 3.30 per raggiungere il Calvi. Ma già al passaggio di Pagliari (dopo 15 m.), mi rendo conto che impiegherò circa la metà di quel tempo. Le belle case in pietra sono mute nel silenzio della sera che stende il suo manto, regalando atmosfere magiche. Cerco di salire tranquillo, vista che duro sarà l’indomani e che non ho fretta, ma complice la voglia, l’astinenza, e la pendenza non continua, mi rendo conto che salgo spedito, senza affanno. Grandiosa la cascata che porta l’acqua della Val Sambuzza e che saluta il mio passaggio con spruzzi di felicità. Sono sorpreso dalla bellezza di questa vallata che non ricordavo così rivestita di abeti magnifici e lussureggianti e vado con i ricordi alle fantastiche abetaie della Val Sedornia. Tutto è verde e riposante e salgo leggero sorpassando il casolare dove parte il sentiero per la magica vallata di Sambuzza. Cammino da un’ora esatta quando poco prima del pianoro del Campo appare la forma piramidale dell’Aga che campeggia su questo bellissimo e bucolico pianoro coperto di foglie rigogliose. Il laghetto a volte asciutto dona splendore a questa piccola ma bellissima conca chiusa sull’altro lato dalle montagne rosse nell’ora dopo il tramonto e chiazzate di bianco. Poi appaiono le cime di quella lunga dorsale che termina nel bacino del rifugio. Qualche minuto prima di arrivare alla diga una vista nel buio ormai quasi fondo, mi dona la visuale sulle piramidi dei Diavoli e sulla lunga cresta che unisce il Rondenino all’Aga. Poi il muro di Fregabolgia,nero ,nella notte ormai calata, la casa dei custodi con le finesttre illuminate e che salutano il passaggio della mia frontale avvertendomi che l’invernale potrebbe essere chiuso per il Covid. Sopra la diga il cartello che mancano 20 minuti , mi rincuora: se è chiuso torno e chiedo una cantina. Cammino sul lago sospeso nel silenzio irreale della notte attratto da due occhi che gialli fiammeggiano in risposta alla mia frontale e che interpreto appartenere ad una volpe. Poi improvvisamente il muro arancione del Calvi segna lo stop della mia fatica , poco prima dello scadere delle 2 h dalla partenza. Con trepidazione mi avvicino alla maniglia della porta del locale invernale e quando cede sono veramente felice: il guizzo della mia luce colora la stanzetta e i suoi lettini a castello mi sembrano paradisiaci. Entusiasta chiamo casa e racconto a Jari della bellezza che mi circonda: notte scura di stelle, monti che riflettono il pallore delle nevi, da cui sono parzialmente coperti, piccola luna a decoro e stanzetta illuminata, suite prenotata a mio esclusivo utilizzo. Beato mi preparo il letto con le copertacce di lana e sopra e sotto il loro peso, placido mi addormento tanto da non sentire neanche la sveglia dell’orologio puntata per le 4.30 allo scopo di utilizzare tutte le ore di luce a disposizione. Dormo abbastanza bene ma quando apro gli occhi mi insospettisce la striscia di luce che filtra da sotto la porta. Guardo l’orologio, sono le 6 e schizzo in piedi come un militare sbrandato dal sergente. Riassetto il locale,preparo la partenza, faccio colazione e provvista d’acqua dalla fontana. Foto all’alba che indora oltre la diga il monte secco il pegherolo e il Cavallo e poi la mano di luce dipinge i pendii del Cabianca e del Madonnino riempiendo di riflessi il mattino. Alle 6.30 parto tranquillo e fiducioso nell’ombra della mia conca: quando supero il lago Rotondo la visione della dorsale Madonnino-Cabianca che si riflette infiammando di rosso le acque increspate del lago mi regala scatti eccezionali. Mi sembra di essere attratto dal canto delle sirene di Ulisse e fatico a tornar a volger lo sguardo verso le ombrose e severe pareti che mi aspettano nella parte oscura del mio universo. Oltre il lago il sentiero comincia a salire prima di sparire sotto il nevaio che scende dal Passo di Valsecca e allora viro a sinistra preparandomi all’abbraccio della luce che dall’alto sembra venirmi incontro su pendii erbosi dorati. Lascio la cascata alla mia destra e ora sono proprio sotto la bastionata del Rondenino e mi domando inutilmente dove dovrò poi passare. Provo a memorizzare le sue forme cercando di ricordare la posizione dell’anticima rispetto ai diversi canaloni che più o meno nettamente ne incidono gli abbondanti fianchi. L’arrivo della luce e il suo calore stemperano un poco la tensione ma non l’opprimente sensazione di fatica che avvince i miei quadricipiti certo non ancora ben allenati. Salgo con fatica e guardo spesso l’orologio per vedere nei progressi della quota un segnale di conforto: invano!. Però la testa sta bene e allora non mi preoccupo più di tanto anche se mi dico che potevo salire più lento ieri sera. La vallata che si stende ai piedi del Valsecca è piena di neve che scintilla sotto il dardo celeste che spuntando oltre il Grande Diavolo l’accarezza per la prima volta nella giornata: commossa ricambia in mille luccichii ammiccanti. Mi sono avvicinato ancora alla mia montagna e prima di scostarmi vs la Bocchetta di Podavitt ne fotografo ancora,ammirato, le segrete e misteriose quinte rocciose, ma senza esserne ricambiato. Poris e Grabiasca mi proteggono le spalle e i Diavoli incombono sopra la mia destra oscurandomi nuovamente con il loro possente cono d’ombra. Mi alzo sulla rigelata neve che dà accesso alla conca rocciosa di Podavitt, tentato di tagliare subito verso le luminose pareti del Rondenino; ma voglio mantenere la rotta prestabilita dalle relazioni e arrivo ad affacciarmi sulla Valtellina con in mano un bel guanto gelato perso da qualcuno sul nevaio. Ora punterò la luce e l’incertezza del percorso che mi attende abbandonando la quieta ombra conosciuta e i bolli rossi che indicano la via per il fratello maggiore dei due Diavoletti. Sono le 8.30, due ore dalla mia partenza e nonostante la fiacchezza pensavo di averci impiegato di più. Muovo i primi passi e la prospettiva si modifica con le punte del Rondenino che si sdoppiano e slanciate vs il cielo con le precipite pareti nord incutono timore reverenziale. Mi muovo lento e cauto come se stessi arrampicando dosando lieve i movimenti anche per via degli sfasciumi su cui spesso devo posare i miei 70 kg, cui sono tanto affezionato. Ma procedo. Fino a raggiungere il tratto pressoché orizzontale della cresta che recisa cala con un salto di centinaia di metri sul versante valtellinese. Mamma mia che paura a guardar giù. Terminata l’affilata lama vedo subito sul fianco sud del monte la cengia che devo percorrere e che trovo(abituato ai miei cari viaz dolomitici) semplice e non esposta come mi aspettavo. L’euforia è tale che arrivato al primo canalone, anziché superarlo(passo delicato di II° per scendere) lo risalgo fino a rendermi conto che sono quasi sull’anticima e dopo ci sarebbe il vuoto. Ridiscendo e altra trazione sulla mia spalla sx dolorante per risalire dalla parte opposta e proseguire la traversata fino ad un secondo canalino e poi oltre fino al canale che da sud segna tutto il lato della montagna. Vi si entra fino a sbucare nei pressi della cima che si raggiunge superando qualche grosso masso con qualche passo attorno al II°, senza direzione obbligata. Infine per rocce di cresta facili ma esposte sul baratro nord, che abbandonano l’incauto alpinista che vi si cimenta, sul discretamente ampio e tranquillizzante plateau di vetta. Come un astronauta ci si sente in cima al mondo con lo sguardo che rotea sull’infinito mondo alpino che si può abbracciare. I fratelli Diavoli,i cugini Poris e Grabiasca, Madonnino Cabianca e la loro dorsale che continua nel Valrossa e nel Monte dei Frati, e poi il Rosa e tutti i 4000 del Vallese in cui spicca la piramide del Finsterarhorn,poi le rocce granitiche e le infinite punte del gruppo Cengalo Badile, e poi il Disgrazia e tutto il gruppo biancheggiante del Bernina, l’Ortles e il Zebrù per chiudere in bellezza con il ritorno bergamasco alla conca dei giganti orobici, vale a dire Scais e Redorta. Solo per citare le cime maggiori. Sono contento anche se troppo stanco per quello che mi attende….e sono solo le 10 del mattino. Mi fermo in cima a mangiar qualcosa, a far foto e a riposare un poco per circa mezz’ora. Poi parto vs l’Aga fissando con lo sguardo la depressione della cresta dove mi aspetta il passo più delicato della traversata che, ho letto, sarebbe meglio affrontare in doppia se si proviene dalla parte opposta alla mia. La cresta da seguire non è evidente e si naviga fra il filo o il più appoggiato versante erboso/roccioso bergamasco e un poco indispone questo paesaggio indefinito che lascia ampia libertà di scelta: è come se il percorso non ci fosse perché è impossibile prevedere o descrivere dove si passerà.
La parete temuta si avvicina e in effetti sembra abbastanza alta e impegnativa ma quando vi arrivo contro seguendo l’esile filo d’arianna che guida i miei passi, si ridimensiona. O meglio, il punto giusto sarà alto 3/4 metri ma appoggiati e ben gradinati. Salgo veloce e sicuro e solo quando vedo il descritto chiodo di calata ho la certezza che quello passato era il passaggio chiave( in realtà molto più semplice del previsto e meno duro dei passi vs la cima del Rondenino). Sono le 11. 15 e forse fino all’Aga è fatta. Continuo su pietraie, sempre alternando l’incedere tra cresta e fianco a seconda della reputata convenienza e sempre col dubbio che l’altra scelta sarebbe stata migliore. Cammino non più complesso ma sempre scomodo e con la vista che ora si abbandona alla contemplazione del vallone innevato che sostiene la doppia cima dell’Aga. La cresta si fa larga e in alcuni punti addirittura bella da percorrere specie quando il versante a nord è tappato dalla neve che crea lunghi plateau belli da camminarci. E così l’Aga si avvicina, e così ci arrivo in una porzione della cresta che unisce le due cime. E’ mezzogiorno in punto e convinto che non porterò a termine la mia traversata, lascio lo zainetto e con la macchina fotografica mi azzardo a raggiungere la cima nord ( nota in valtelina come Corno d’Ambria); certo che probabilmente mai più mi troverò qui in futuro. Percorso complicato, ostico,esposto che costringe a qualche passo di II° su un vuoto più accentuato. E con interruzione della cresta che mi costringe a scendere fino al nevaio per un canalino che poi mi permette di accedere all’ultima parte più semplice delle rocce che guardano la Valtellina. Lo sguardo sull’enorme parete innevata da cui dovrò provare a scendere, è abbastanza impressionante. Come quello rivolto all’indietro dove le punte aguzze dei Diavoli e del Rondenino creano un tridente verticale e pauroso. Ritorno dopo l’ora più difficile della giornata sulla cima principale a cerco di capire come scendere la parete innevata non avendo i ramponi(ma la mascherina sì) e per fortuna almeno il piccozzino d’emergenza. Intanto ritrovo pace al fianco della teca contenente la madonnina di vetta. Le rocce innevate e un poco esposte dove presumo passi il sentiero della normale, non mi attirano e punto invece alla più marcata delle due tracce che fendono centralmente il pendio proprio nella zona mediana dove un bernoccolo roccioso pare anche più alto della massima elevazione ufficiale. Timoroso, tasto la compattezza della neve che nonostante l’orario ed il sole è ancora, sotto un paio di centimetri morbidi, troppo dura e allora entro nella traccia che però,purtroppo, è completamente rigelata. Ma è l’unica possibilità che ho per provare a scendere e quindi comincio con estrema attenzione a mettere i miei scarponi nelle tracce cercando di trovare le zone più piatte: purtroppo non sento mai la presa e lo scarpone tende a scivolare vs il basso provovandomi sgrisolini allo stomaco. Pianto sempre prima del passo furiosamente il picozzino nella neve dura e piano piano prendo confidenza con la manovra, solo che scendo troooppo lentamente. Una foto vs l’alto e il cielo azzurro che ti abbraccia e una foto vs il vuoto gelido che sta sotto pronto a raccogliere la mia scivolata e che sembra non terminare mai. Allora mi fisso almeno l’obiettivo intermedio di arrivare alla fine della parte più inclinata del pendio, cinquanta forse cento metri interminabili e poi finalmente riesco a stendere un pochino i nervi ed essere meno spaventato. Continuo a passo e picca fino a quando posso rialzarmi e dirigermi baldanzoso vs il passo di cigola dove come sentinelle mi aspettano due begli stambecchini. Ci arrivo spossato, assetato e convinto che la traversata è finita qui, alle 13.45. Bevo un goccio e decido di provare a pisolare un poco sotto un sole a picco che appena riscalda. Nel dormiveglia sento lo scalpiccio degli stambecchi e poi i pensieri cominciano a roteare su se stessi. Riapro gli occhi alle 14.30 e come spesso mi capita quando son solo, comunico all’altro me stesso che ora si scende. L’altro invece si alza e mi convince ad una salitina veloce senza zainetto solo sul Pizzo Cigola. Poi però dopo pochi passi torno a recuperare lo zaino che tanto a parte l’acqua rimasta, non contiene granchè.. Ora si cammina meglio e passo a picco sopra il Lago del Diavolo dalla parte bergamasca e su un altro invaso artificiale dalla parte valtellinese. Alle 15 appare improvvisa nel cielo azzurro una crocetta metallica: sono già in cima al Cigola, sorpreso della salita così veloce ed uno sguardo al proseguio della cresta mi convince a continuare. Foto di rito e riparto sulla cresta decisamente più larga, anche se preferenzialmente sto un poco sotto al filo perché addirittura un sentierino ne percorre i fianchi erbosi,fino ad arrivare in vista dell’ennesima impennata che aggiro rapidamente. Penso sia fatta ma mi tovo davanti una inaspettata depressione contorta della cresta che mi fa propendere per la discesa di un canalone assolutamente sfasci umato ma percorribile con cautela e che mi conduce in basso a toccare il Passo di Venina con vista sull’omonimo lago. Sono le 16 e uno sguardo di controllo mi fa vedere forse meno arduo del previsto il salto di rocce, che ho voluto evitare. Ora riprendo a salire per erbe fino a transitare sulla piccola croce della Cima Di Venina alle 16.30 e proseguire per la successiva quota un poco più alta che mi regala un incontro ravvicinato con un piccolo camoscino curioso e con una coturnice che nascosta fra la neve pensava forse di mimetizzarsi meglio. Poi dopo piccola discesa arrivo alla rampa finale dolcemente nevosa che sale verso Cima Masoni. Un vento forte e freddo mi gela completamente e mi obbliga a rivestirmi facendomi, durante le sue folate furiose, preoccupare per le possibilità di rigelo della neve dall’altro versante. Poi però cala d’intensità e arrivo alle 17 sulla calotta finale con croce metallica che si sovrappone alle catene del badile e del Bernina a Nord. Il Pizzo Zerna, è vicino, basso rispetto a me ed è l’ultimo ostacolo prima di raggiungere il Passo del Publino e scendere per la Val Sambuzza secondo i miei piani e inzio convinto la cresta anche se alcuni salti mi preoccupano. Qualche difficoltà, qualche passo esposto, una prima interruzione del filo di cresta che supero con rocambolesca disarrampicata da un sassone appoggiato alla scogliera e che mi permette di proseguire oltre superando sul lato nord l’ennesimo sperone e poi una frattura che pone fine alle mie speranze di proseguimento. Rammarico, stanchezza, desolazione al pensiero di dover tornare fino in cima, ma poi poco dopo individuo un canale roccioso e poi erboso che dovrebbe permettermi di scendere fino ai plateau basali. Con precauzione e un poco di paura lo scendo cauto e poi leggero ed esultante arrivo su terreno tranquillo. Ora potrei risalire fino alla bocchetta di Zerna, ma non ne ho più voglia e lascio l’ultima cima per un’altra volta anche perché ormai sono le 18 e farei troppo tardi visto che non ho neanche mai trovato campo per poter chiamare a casa. Finalmente rilassato e soddisfatto zompetto vs il fondovalle e il Lago di sambuzza scendendo per i nevai residui e poi per erbe fino a ricongiungermi al sentiero e transitare in ammirazione al lago alle 18.45. Da qui in poi poesia verde fra larici ,abeti, giochi d’acqua ,pianori erbosi,torbe, cascate e boschi rigogliosi che fanno della Valle Sambuzza(insieme alla Sedornia) una delle valli più belle del bergamasco, senz’altro la più verde. Incrocio uno stambecco che mi concede il passaggio e un altro che mi scruta mentre passo sotto la sua rupe e vado incontro alla dolcezza della sera che mi consegna paesaggi fiabeschi, orobico dolomitici. Cammino silente intriso d’amore per il Creato che così dolce e prepotentemente rivela la sua forza e arrivo alla fine dell’incanto quando il sentierino finisce in braccio alle case in pietra di Pagliari,borgo da fiaba con alle spalle i monti fiammeggianti nel saluto al sole del tramonto. Alle 20.30 termino le mie fatiche in quel di Carona ed è bello, quando seduto sul muretto, la stanchezza cede il posto alla gioia. Armonia tra l’uomo e il mondo.
Foto1 in cima al Rondenino Foto 2 Diavoli e Rondenino Foto 3 la discesa dall’Aga
Report visto  3308 volte
Immagini             

[ Clicca sulla foto per ingrandire ]
Fotoreport