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   dal Piz Cavrin Est ai Piz Brunone, 23/06/2022
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Onicer  oscarrampica   
Gita  dal Piz Cavrin Est ai Piz Brunone
Regione  Lombardia
Partenza  Agneda  (1200 m)
Quota arrivo  2760 m
Dislivello  2000 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  corda non necessaria. passi vicini al II° grado sul Cavrin Est e I° grado in discesa da Cima Soliva e sui Piz Brunone Nord
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento La richiesta di Fil (16 anni) di un buco libero per una gita in montagna scatena subito il desiderio e bocciata la sua proposta in Val Noana (troppo lontana e troppo semplice) lo coinvolgo in un progetto già preparato che prevede l’esplorazione di un settore orobico Valtellinese mai visitato. Per la terza volta in pochi mesi (seconda per lui) ci dirigiamo verso Agneda, in Valtellina. Terminato il turno di lavoro passo a prenderlo e via verso Milano Lecco, fino ad abbandonare la statale della Valtellina e salire a destra per arrivare in quel bellissimo spiazzo verdeggiante che accoglierà la nostra tenda. All’1.30 del 14/06 dopo qualche bella foto dei riflessi lunari e stellari siamo pronti ad addormentarci con negli occhi la meravigliosa scena vista poco prima dall’auto di un cucciolo di volpe che giocava incuriosito con un riccio poco convinto dell’affetto che il primo gli manifestava. Apro gli cchi e una tenue luce mi spinge incuriosito a guardar l’ora: sono passate da poco le 4.30 e c’è già luce e quindi decido di chiamare Fil. Smontaggio tenda,preparativi, colazione e alle 5.30 nuvole rosse ad Oriente salutano i nostri primi passi. Non traversiamo al ponticello ma proseguiamo dritti per la sterrata convinti porti a passare sulla riva destra del Lago. Ad un bivio seguiamo l’indicazione Mambretti e dopo aver attraversato una zona di passaggio dei carrelli delle miniere (con tanto di galleria), ci troviamo sotto la diga e risaliamo per il sentiero fino alla casa dei guardiani dove recuperiamo il sentiero solito che con belle viste sul Pizzo del Salto ci porta al bivio di Case Scais. Poco prima, girandosi indietro, per un attimo si erge maestosa in fondo al lago la possente e solitaria mole del Disgrazia che fotografo ripetutamente. Costeggiamo il lago tenendo al bivio la destra superando su un bel ponticello una magnifica cascata che scende saltando a lago e con più calma il Disgrazia ora si mostra e poi imbocchiamo la Val Vedello superando una tettoia metallica e raggiungendo l’amena Baita Cornascio (q.1600,h 6.30) dove un pastore di poche parole e malisguardi attende alla mungitura. Alti sopra la valle i due pizzi Cavrin e il Grò osservano le nostre intenzioni. Il sentiero è una malatraccia fin quando lo rinveniamo migliore più alto sul fianco destro del valloncello. Mezz’ora circa dopo attraversiamo la valle sotto la bella parete nord del Pizzo del Salto e cominciamo a vedere le briglie costruite presumibilmente ai tempi dell’esplorazione dei giacimenti di uranio e camminiamo su ciò che resta di un’ampia strada dove passavano un tempo i camion. Veduta stupenda su Roseg e Bernina a nord. Su un muro la scritta Soliva e i bolli rossi ci rincuorano in questo paesaggio post moderno. Saliamo ad ampi tornanti finchè decidiamo per una troppo ripida salita per erbe a fianco di una parete precipite sul canalone sottostante a sinistra ma poi spostandomi a destra recupero la strada principale che si interrompe poco dopo su uno spiazzo erboso. Ora siamo proprio sotto i due Cavrin e dobbiamo seguire la traccia e i pochi bolli che s’alzano per un ripido e bel versante che salendo diventa sempre più roccioso e affascinante fino a diventare di aspetto bruno e lunare. Pecore della galassia passeggiano sulle rocce pensando d’esser capre e la bocchetta ammicca sembrando sempre a portata di piede ma allontanandosi ad ogni nostro passo nella sua direzione. Salendo studio la parete del Cavrin Est perché non è chiaro se sia questo o l’altro il versante col canalone detritico da risalire..ma non vedo punti deboli. Su pietrame e bellissime rocce brunate raggiungiamo infine la Bocchetta della Foppa (q. 2560 m, h 9). Ambiente lunare e stratosferico, di rara e selvaggia bellezza. Sublime la vista sulla cresta dello Scais e il Redorta prima che vengano inghiottiti dalle nebbie che risalgono veloci la valle e il Disgrazia solitario a Nord. Pausa, foto col latte condensato regalatomi dai figli e discorriamo con Filippo delle sue intenzioni di seguirmi verso la cima del Cavrin Est che domina il passo con la sua cresta dentellata e precipite. Non insisto, essendo alle sue prime esperienze e decide di aspettarmi. Mi avvio dunque scendendo una china erbosa e lasciandomi la montagna a destra trovando subito il presumibile canale detritico di salita che comincio a percorrere fra il pietrame che colonizza il suo fondo. Un fiorellino viola cresciuto in una piega della roccia, attira la mia attenzione e mi distrae dalla rudezza dell’ambiente. Arrivato ad un saltello roccioso, mi sposto a sinistra fino a quando un passo un poco troppo duro e rischioso m’induce a riflessione sulla correttezza del percorso. Torno sotto il saltello e lo supero a destra per ripide balze erbose e salgo fino al termine del canalino. Pensavo di trovarmi sopra la parete e invece un altro canale semplice scende dall’altra parte. La montagna sembra più alta e semplice a destra e dunque mi avvio a scalarne la parete di erbe e rocce con passaggi continui tra molto I° grado e qualche passo di II°. Sbuco improvvisamente sul vuoto (q.2647, h 10). Solo l’ometto di pietre a tenermi compagnia e cerco ma non vedo Fil alla bocchetta. Lo chiamo e ottengo in cambio uno scatto dal basso. Vista vertiginosa della cresta est che sale dalla bocchetta, sulla Cima Soliva che ci aspetta, sul Cavrin e sui pinnacoli sommitali del Grò che escono dalle nebbie come totem. Wild. Non c’è manco lo spazio per sedersi e con attenzione inizio a scendere, disarrampicando qualche passo. Al saltello opto ancora per le rbe di sinistra con qualche passo un poco rischioso ma ritrovo infine il fondo del canale e torno così da Fil che trovo beatamente dormiente e che non si sveglia neanche con le pietre che gli tiro vicino. Infine lo chiamo e ottengo risposta. Alle 10.15 lasciamo il valico volgendo a sinistra (est) e rimontando l’ampia dorsale SW arriviamo ad una ventina di metri dalla vetta dove dobbiamo aggirare l´edificio sommitale proseguendo verso destra su un´ampia cengia a cui fa seguito un breve pendio detritico. Risaliamo poi un canaletto (segnali bianchi) posizionato poco a sinistra del filo della cresta SE dove faccio andare avanti Fil per tastarne le capacità tecniche e di esposizione. Al termine del canaletto(I° grado) che supera brillantemente tanto da guadagnarsi foto aerea , svoltiamo a sinistra e per gli ultimi metri della facile cresta sommitale guadagniamo la Cima Soliva( q.2710,h 9.45) dove ci aspettano diversi ometti di pietre. La poderosa cresta che vorrei percorrere quest’estate è mangiata dalle nebbie e si vede solo il tratto tra il Rodes e lo Scotes. Pazzesca e fantastica invece la vista a Nord verso il gruppo del Benina che biancheggia nel blu del cielo. A destra il gruppo del Badile e il Disgrazia. Oltre le creste dirupate del Pizzo Biorco emergono due giganti bianche che con l’aiuto dell zoom riconosco nell’Ortles e nel Gran Zebrù..mamma mia che inquadratura! Sotto di noi una tozza cima piallata su cui si potrebbe costruire un campo di calcio anticipa la vista del Lago di Scais e il nostro oltre è purtroppo inghiottito dalle nebbie che s’impigliano a creste sfilacciate e contorte. Mentre muovo in discesa con circospezione i primi attenti passi, dico che mi spiace non potermi “orizzontare” perché le nebbie coprono il filo di cresta che dobbiamo seguire e non riesco a intuirne la direzione e la difficoltà. Fil mi dice che si dice “orientare” e giustificando il mio neologismo difendo la mia scelta spiegandogliela ( scoprirò poi dal vocabolario, che si può usare) e iniziamo una discussione sull’importanza della cultura e dei valori della vita. Arriviamo così ad un certo punto che mi spaventa un poco perché la cresta mi sembra veramente esile ma non ne sono certo perché metà è mangiata dalle nebbie. Mi fermo comunque sotto un pinnacolo con la cresta troppo ardua sopra di me e allora spostandomi a destra trovo il lato bergamasco più abbordabile ma scelgo comunque di usare la corda preoccupato per le conseguenze di un possibile errore di Fil in questo tratto veramente esposto. Col poco materiale a disposizione armiamo la sosta e messo a me l’imbrago e lui legato in vita procediamo per questo tratto di una ventina di metri su cresta esile con passi non difficili (I° grado) ma esposti. Fil sicuro e un poco insofferente per la corda che non ritiene necessaria mi segue senza problemi e poi contento la vede sparire nuovamente nello zaino. Troviamo ancora qualche tratto delicato ma Fil si mostra sicuro e deciso e della corda non vuole più saperne. Ora dalle nebbie emerge indecisa la cupola ghiaiosa del Medasc sud e il vuoto sottostante suggerisce la presenza dell’avvallamento del Passo dei Camer che raggiungiamo per rocce che diventano più semplici(q.2580,h 12). Preoccupato guardavo le creste aguzze oltre il Medasc sud ma ora capisco che quella era la catena del Medasc che scendeva verso nord mentre il nostro proseguio dovrebbe essere più semplice. Ripartiamo quasi immediatamente per il piccolo dosso ghiaioso e venti minuti dopo siamo sull’ometto di sassi(Medasc Sud, q.2647). dalla cima si vede bene la catena del Medasc scendere verso il territorio valtellinese mentre la nostra linea decisamente più abbordabile sparisce tranquilla fra le nebbie. Siamo proprio sul crinale ma ora la cresta è sufficientemente larga per camminare ritti anche se rimane precipite sul lato nord. Oltre un’anticima, scura si profila quella che dovrebbe essere la Cima di Cantunasc ultimo ostacolo prima del Passo della Scaletta. Transitiamo per l’anticima con ometto e poi la discesa è ripida e rapida vs la Bocchetta di Cantunasc (q.2550,h 12.45) che ci accoglie abbracciandoci con le nebbie che scorrono dalla sua breccia fra le rocce. Di nuovo su all’ometto di Cima Cantunasc dove ci fotografiamo un quarto d’ora dopo avvolti dai vapori bianchi. Talvolta qualche passaggio aereo ma la cresta resta facile e ad un certo punto mi chiedo cosa sia quest’improvviso fiorir di ometti e mentre cerco la risposta sono attratto da un enorme porzione di montagna franata. Mi ritrovo così improvvisamente arrivato alla grande spianata del Passo della Scaletta (q.2530, h 13.30). Qui termina il nostro percorso di cresta e rifornitici d’acqua scarsa ad una pozza nivoglaciale, affronto con Fil il futuro. Gli chiedo se ha voglia di proseguire o aspettarmi e sceglie la seconda invitandomi a proseguire. Il meteo sembra tenere e allora dopo una piccola pausa nel tentativo( rivelatosi poi inutile) di capire dove dirigermi, lo saluto dandogli come tempo del mio ritorno circa 2 h. Alle 14 riparto senza zainetto dopo aver mangiato e bevuto e mi dirigo nella nebbia verso ometti sul crinale…segni non ce ne sono se non un vago Pizzo Brunone colorato su un masso. Dopo pochi minuti nebbiosi non so più dove sono e provvidenzialmente scendendo da un crinale erroneamente risalito m’imbatto nel Laghetto della Scaletta. Ora capisco qualcosa e dopo aver ammirato uno stupendo mazzo di fiorellini rosa che colora questo brunastro deserto di pietra, una provvidenziale schariita mi permette di localizzare la doppia cima del Brunone Nord. Come un esploratore proseguo allora dritto verso di lui salvo poi dovermi arrendere alla morfologia della montagna e comprendere di non poter saltare dall’altra parte della paurosa voragine del Canalone della Brunona. Fedele all’andamento del terreno lo seguo allora piegando verso destra e risalendo fino in cresta il crinale uniforme delle Cime di Brunone segnalate da vari ometti e quindi indistinguibili fra loro e a maggior ragione nelle odierne scarse condizioni di visibilità (q.2750, h 14.45). A tratti le nebbie si aprono e rivelano squarci sulla vedretta e la cresta di Scais che dovrebbero essere memorabili ma che invece sono sempre purtroppo parziali. Ora davanti a me dalla nebbia emerge una sorta di pendio pietroso che sale e colà mi dirigo raggiungendone l’apice pochi minuti dopo e credo di essere sulla vetta bergamasca del Pizzo Brunone q.2760). Tornato sul piattume pietroso precedente con buona visibilità scendo verso la sella che precede la prima cima del Brunone Nord e per ripide balze misto rocciose ed erbose (passi I° grado) in breve arrivo in cima e poi per discesa ancor più ripida (I° grado) raggiungo la selletta che la divide dalla più settentrionale altra cima. La vista da sotto incute un poco di timore perché la cresta appare frastagliata e sottilmente esposta ma poi invece la salita si rivela più semplice di quella appena scesa e felice abbraccio l’ometto di cima mio compagno invisibile su questa cima appollaiata fra cielo e nebbie (Pizzo Brunone Nord q. 2724, h 15.15). Qualche selfie aereo e sulla bella prima cima dove tornerò fra poco per scendere e riprendo il filo di cresta per tornare. Non prima di, nell’ennesima riapertura fra le nebbie, riuscire a individuare e fotografare il Brunone Est (q.2810) ultima cima mancante alla grande cavalcata di oggi. Il tempo scorre e voglio tornare velocemente da Fil per cui rapido ripercorro i crinali che mi hanno portato quassù e recupero la dorsale delle Cime di Brunone, filo d’Arianna in questo deserto pietroso d’alta quota che ricorda un poco il dolomitico Altopiano della Fradusta. Lo seguo in discesa ma poi a cusa dei giri contorti dell’andata non mi ritrovo più fra nebbie e ometti che sono disposti ovunque e scendo preoccupato perché non incrocio più il laghetto e temo di perdermi fra le pietre tutte uguali e la nebbia che non permette mai una veduta d’assieme. Poi con una decisa virata verso destra correggo la rotta e finalmente le acque del laghetto appaiono come un faro nella notte e riorientato raggiungo fil chiamandolo prima per avvisarlo e raggiungendolo per le 16. Svizzero. Lo trovo già sceso nel colatoio sotto il Passo per rifugiarsi dal vento che soffia fortissimo e gelido. Sotto la breccia di pochi metri l’urlo di Eolo è silenziato e viste le catene che aiutano la discesa dico Fil di imbragarsi e gli costruisco una longe di sicurezza con due moschettoni. Mangio bevo e alle 16.10 iniziamo la discesa dell’inserrato e stretto canalino. L’ambiente è oppressivo, si passa fra due pareti rocciose e ci mettiamo il casco. E’ una vera e propria ferrata con la catena che aiuta e scorre fra le pietre non comoda da seguire ma che offre aiuto senz’altro per la progressione in salita e un poco di sicurezza in discesa. Esorto Fil ad assicurarsi cosa che poi io non faccio perché preferisco scendere disarrampicando o scegliendo il percorso migliore. Troviamo subito il tratto dove la grande frana si è accumulata in grosse scaglie che hanno seppellito le catene e poi per saltelli vari perdiamo quota con qualche passo un poco insidioso perché scivoloso in discesa e sui quali esorto inutilmente Fil ad assicurarsi. Arriviamo cos’ in fondo al lungo canalone venti minuti dopo quando mi arresto preoccupato davanti ad una lunga e spessa colata nevosa che ricopre le catene. Non c’è altra strada se non quella di affrontare direttamente il pendio nevoso estremamente pericoloso in caso di scivolata. Prudentemente e con violenza scalcio sulla neve abbastanza dura e pressata fino a scavare tacche (fortuna stavolta ho optato, a differenza che sugli Spiz, per gli scarponi Sportiva) per i piedi di Fil che invito ripetutamente a scendere con calma e a non commettere errori che altrimenti costerebbero caro. Piano piano la confidenza prende il posto dell’incertezza e riuscuamo a raggiungere dopo 10 minuti d’ansia il sottostante pendio pietroso dove anche i segni ci sorridono e ci danno il bentornato alla civiltà. Scio un secondo pendio nevoso meno inclinato mentre Fil procede sulle pietre e poi ci ricongiungiamo nel vallone sotto le pareti che abbiamo appena traversato e che non è facile distinguere essendo questa zona poco conosciuta e citata sulle carte ufficiali con nomi che spesso non esistono o differiscono fra loro. Credo si veda il tratto tra il medasc sud e il Passo della Scaletta penso mentre fotografo due torrioni appuntiti di fattezze assolutamente dolomitiche. Tra segni erbe e pietre scendiamo e traversiamo verso dx fino a trovare un cartello bifronte (h17) che sentenzia 1h per la Capanna Mambretti (dove dobbiamo andare) e 1h x il passo Scaletta (da dove arriviamo). Poco dopo entriamo in una fascia erbosa dove il sentiero quasi sparisce e sono solo i segni a suggerirci la via. Fil perde la traccia, io la ritrovo ma la riperdo e ragionando su dove possa correre il sentiero vediamo entrambi sul costone in basso a sinistra una evidente traccia che corre sotto parete. Ragionando sulla difficoltà di ritrovare il sentiero, sul fatto che dovremmo comunque stare alti per arrivare al Mambretti, assecondo la sua intenzione di provare a raggiungerla anche perché eviteremmo il largo giro verso destra e ci buttiamo a capofitto in direzione della via vista. Senza segni perdiamo velocemente quota fra rade vegetazioni e zone rocciose finchè incrociamo bolli rossi che ci conducono esattamente al sentiero intravisto dall’alto, dopo aver traversato una bella cascata. Marcato fittamente a bolli rossi e comunque ben visibile la traccia resta in sinistra idrografica poco alta sul torrente Caronno ma molto più bassa della Mambretti che zoomo da sotto senza rimpianti per non averla raggiunta ora che è evidente il tempo risparmiato. Scendendo dolcemente il sentiero diventa sempre più erboso col tuono del torrente che rallegra l’atmosfera bucolica. Entriamo poi in un bellissimo bosco d’abeti cresciuti fra i prati verdi e fioriture ovunque e approdare infine davanti ad un immenso roccione che sembra spaccato in due da un immensa spada che ne ha staccata una fetta che giace staccata e inclinata rispetto al corpo principale. Spettacolo veramente incredibile. Ammiriamo da vicino questo monolite alto una ventina di metri e lo circumnavighiamo ammirandone la possenza da tutte le parti. Sono massi giganteschi appoggiati l’uno sull’altro e giunti fin qui mi verrebbe da dire più da spostamenti glaciali che da una frana. Da vedere. Dopo i grandi massi si apre una grande prateria verde circondata da radi abeti che rendono il luogo veramente fantastico. Scatto foto entusiasta di tanta bellezza e armonia. I grandi prati si aprono infine sulla piana di Caronno dove un bel ponticello in legno permette di superare il torrente e arrivare all’Alpe di Caronno( q.1600,h 18) e ai suoi prati già conosciuti. Che posto! Ci fermiamo un poco sul ponte e nei prati a contemplare capolavoro di valle con gli occhi che tornano a incontrare le cime famose della sua testata e che vanno dal Pizzo Biorco al Medasc Nord passando dallo Scotes, alle Cime di Caronno al Porola, allo Scais e a quel Pizzo Brunone che da qua appare così maestoso da sembrare il fratellino minore dello Scais e sulla cui cima mi trovavo poche ore di meraviglia fa. Poi sprofondiamo nell’accogliente e morbido verde dei prati dell’Alpe e con passi di sogno ne percorriamo le erbe scendendo di quota ma lasciando l’anima libera di volare ancora per quegli spazi infiniti dove il confine è solo il cielo. Ripassiamo al Lago di Scais e l’ultima foto è per un abete divorato da un fulmine che ne ha lasciata la corteccia a ricordo e che ora si chiude su un involucro vuoto. Alle 19 osservo felice Fil muovere gli ultimi passi sulla sterrata immersa nel verde verso l’auto che ci aspetta fedele. Cosa ti sei persa…grazie Fil! Foto1 Fil tratto esposto scendendo da Cima Soliva Foto2 Brunoni vari salendo al Pizzo Nord Foto3 Pizzo Brunone Nord cima II


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