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   Cima di Leten, 08/01/2022
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Onicer  oscarrampica   
Gita  Cima di Leten
Regione  Lombardia
Partenza  Parre  (750 m)
Quota arrivo  2100 m
Dislivello  1800 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  vari in estate
Attrezzatura consigliata  ca e ramponi per sicurezza
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento L’arrivo del piccolo krek e i lavori in soffitta mi tengon lontano dalla montagna ma alla proposta di Robi che ha ferie a gennaio e così pochi giorni per andarci, non posso dire di no e allora dopo aver dato un’occhiata al meteo battezziamo per buona la giornata dell’8 gennaio. Andremo a Parre e poi decideremo se salire al Vaccaro e fare l’infinita cresta verso il Passo del re oppure arrivarci direttamente per sentiero e poi salire la Cima di Leten ed eventualmente quella di Valmora. Alle 5 sono a casa sua e alle 6.15 parcheggiamo alla fine della strada di Parre che termina nella stradina che sale alla chiesetta di S. Antonio, il cui divieto di accesso, non ci sentiamo di sfidare. Vestiti iniziamo a camminare sull’asfalto alle 6.45, alla luce delle frontali che ci porteranno sulle rive dell’alba a cui andremo incontro partendo da quota 800. Asfalto duro, freddo ,buio bacchetti che martellano, in silenzio passano i minuti e ogni tanto mi fermo a fotografare le luci di Clusone che accendono il buio sotto di noi e la volta sopra di noi che passa rapidamente dal nero al blu, all’azzurro. Essere in montagna quando sorge il sole è uno spettacolo a cui rinuncio malvolentieri e che mi obbliga volentieri ad anticipare gli orari di partenza. Come ho appena letto in un libro, ciò che vedi è unico se sei l’unico a vederlo. In quei momenti è come se il sole nella sua immensità si piegasse a dirti sono qui per te, solo per te e io veramente mi nutro d’immenso. Arriviamo alla chiesetta di S.Antonio(q. 950,h7.30) con le prime luci e seguendo la striscia di asfalto che corre leggera attraverso i prati secchi passiamo poco dopo dalla grande panca di Parre dove ci immortaliamo curiosi come ottimi turisti. La vista sulla piana di Clusone è veramente suggestiva e l’alba sta preparando i suoi fuochi d’artificio. Qualche minuto dopo infatti s’accende di rosso il cielo sopra la Regina Presolana e re Guglielmo che domina sui feudi padani avvolti da grigie nebbie. Proseguiamo a salire tra una foto e l’altra mentre le rocce della Regina cominciano ad incendiarsi infiammando d’entusiasmo i nostri sguardi. Alle 8 il sole sbuca dalla costa del Guglielmo e incendia i pendii che tocca, i boschi diventano arancioni come le erbe e fotografo un faggio che sembra prender fuoco. Nel frattempo usciamo dal boschetto e si aprono le ondulate pieghe che salgono verso la costa del Vaccaro e che tanto mi fan pensare al paesaggio tibetano. Le striature di neve in alto, accentuano questa simbiosi, come il cappellino di lana, etnico, che indossa robi. Poco dopo raggiungiamo ed ammiriamo il roccolo alvit, splendidamente costruito su faggi che ne intersecano le pareti creando una fusione perfetta fra edilizia ed ambiente. Veramente un poggio sulla valle sopra la quale plana lo sguardo dorato dalla luce del mattino che tutto rende scintillante. Ma siamo qua per salire e dopo l’esplorazione del bel roccolo riprendiamo il nastro d’asfalto. Alle 8.30 superato il piccolo laghetto ghiacciato la strada sterrata s’inoltra verso le infuocate coste ondulate che caratterizzano questa zona pascoliva e la sensazione di Tibet si fa imponente, tanto che la neve ora più visibile rende ancora più credibile il paragone. Passiamo a vedere l’ampio Rif.Vaccaro( q.1520,h 8.30) e continuiamo per gli ampi prati che si aprono dietro le sue mura, evitando la deviazione verso il Vaccaro( che sarebbe stata meglio seguire) su bella carrareccia lastricata, proseguendo invece per labile e incerta traccia nei prati. Dopo mezz’oretta recuperiamo la bella strada lastricata in corrispondenza di lavori in corso per forse un nuovo edificio e poi in falsopiano continuiamo a seguire le ondulazioni avvicinandoci alla zona dove inizia la neve e raggiungendo un ampio pianoro da dove la vista si apre meravigliosa verso le cime che ci aspettano: Arera,leten,Valmora,Fop coprono l’orizzonte stagliandosi bianche o rocciose sullo sfondo di un cielo che più azzurro non si può. Che meraviglia! Facciamo pochi passi che sembra di esser sulla luna e poi iniziamo a scender dall’altra parte e in breve arriviamo alla Baita Forcella( q. 1720,h 9.30) che ha tutta l’aria di una ex grande malga ora abbandonata. E’ evidente il grande arco prima un poco in discesa e poi in risalita che dobbiamo percorrere per arrivare dall’altra parte seguendo le coste che scendono dai monti secco e poi Fop. Quando ancora in discesa, il sentiero piega a destra, rimaniamo colpiti dal bellissimo spigolo del Monte Secco che sale dritto verso la sua cima delineando un perfetto profilo triangolare. Fotografo e zoomo ammirato pensando che sarebbe bello percorrerlo. Scendiamo in breve fino alla conca della Baita del Fop che sta proprio sotto il monte omonimo e il bel profilo piramidale del Secco( q.1600, h 9.50). il sentiero è poco visibile ma una staccionata ci spinge sul dosso dietro la baita dove la traccia si perde quasi definitivamente. Lande deserte e poco frequentate. Siam tornati a camminare su prati secchi di quel giallo tipico dell’ambiente invernale e continuiamo a muoverci verso l’approdo lontano della costa che sale vs il Passo del Re e la Cima Leten alla sua sinistra. Risaliamo il ripido costone alla nostra destra e in cima ritroviamo il sentierino che seguiamo ora in piano fino a dover oltrepassare un tratto ghiacciato che ci costringe a prestar attenzione per non prender la via ripida verso valle. Le evoluzioni di un branco di camosci che si muovono come un onda in un evidente gioco di rincorse e cambi di direzione, attira la nostra attenzione ed ammirazione. Risalgono veloci l’erto pendio in un baleno facendo sfigurare con l’agilità e la potenza dei loro quadricipiti, le nostre velleità alpinistiche. Fotografo poi un solitario camoscio davanti ad una parete bellissima che è solo probabilmente una costa che scende dal Secco o dalla cresta che lo collega al Fop ma che oggi così di roccia chiara e smaltata di neve mi fa venire in mente un colosso dell’Himalaya. Una foto veramente bella. Poi finalmente il nostro infinito traverso sembra giungere al termine e in mezzo alla ritrovata neve poggiamo i piedi su un pianoro che precede di poco la depressione custodita dalle sponde del Leten a sinistra e quelle che scendono dal Fop a destra. In fondo alla conca emerge dal bianco il grazioso rifugio S. Maria in Leten (q.1720, h 11) che non raggiungiamo perché seguiamo a destra la linea immaginaria, senza perder quota che ci porterà dopo un breve traverso alla base del ripido finale che conduce alla nostra cima. Passiamo un caratteristico solco di roccia che come un fiume di pietra scende dalle parti alte del Fop con un lastrone impressionante simile ad una lavagna e che rassomiglia ad una cascata pietrificata, e poi attacchiamo il ripido nevoso che sale verso l’alto. Robi prende il largo e io seguo le sue tracce nella neve alta una decina di centimetri. Ci lasciamo a destra la depressione del Passo del Re e poi puntiamo la linea di cresta dalla quale ad un certo punto comincia ad emergere come la prua di una nave la Cima di Valmora che assume oltre il profilo nevoso, dimensioni mastodontiche. La neve si fa dura, il vento soffia forte e penso se non sia il caso di fermarsi a metter giacca e ramponi ma ormai manca poco e tiro dritto segnando con i miei scarponi le leggere tacche lasciate da quelli di Robi. Lo vedo, credo in cima un centinaio di metri davanti e allora accelero, raggiungendolo a mezzogiorno( Cima Leten 2095m). Mi copro immediatamente dopo l’abbraccio di rito ed inizio il tour fotografico: Arera e Valmora formano una coppia formidabile, possente il primo e più slanciata la seconda che offre una parete incredibilmente precipite. Tra quest’ultima e il Fop si apre la vista verso i giganti orobici, scais redorta e coca, ma anche il Diavolo di tenda e il Torena e poi Recastello e Gleno. Monte Golla e cima Foppazzi anticipano le nebbie padane e tra le onde collinari che degradano, si riconoscono il Pizzo Formico e il Guglielmo. Non riusciamo a togliere gli occhi dall’immensità rocciosa dell’Arera e della Ciam di Valmora e cerco di capire dove possa essere la linea che permette dalla nostra cima di concatenare il proseguimento. Sarà per l’estate prossima, quando sarebbe bello arrivare qui per tutto il percorso in cresta e proseguire poi ancora. Venti minuti dopo iniziamo la discesa con attenzione sulla crestina gelata e l’occhio scappa sul degradare del pendio di neve dura dove una scivolata avrebbe brutte conseguenze. I leggeri solchi lasciati durante la salita aiutano, e in breve usciamo dalla zona danger. Poi la neve sparisce, il sole batte più forte ed è quasi come passare dall’inverno all’autunno mentre ci troviamo a ricontemplare la bellezza dei passaggi che attraversiamo per tornare da dove siamo venuti. Ripassiamo sul grandioso burrone della Val Nossana dove sarebbe bello scendere sul fondo del canyon e dopo aver ammirato su un colle un bel camoscio solitario, riguadagniamo la conca della Baita del Fop e l’ultima risalita verso la Baita Forcella. Poi sole, prati autunnali e tanta bellezza fino alla strada lastricata e poi la stradina d’asfalto, la chiesetta e finalmente l’arrivo all’auto coi piedi martoriati dal suolo troppo duro nonostante qualche deviazione per prati. Alle 16 dopo 9 ore trascorse in Paradiso. Grazie Robi, alla prox. Foto1 Robi in Tibet Foto2 Arera,anticima,Leten e Valmora Foto3 in discesa per la crestina gelata

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