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   Cima Vallocci (quasi), 10/02/2013
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Onicer  Pierpaolo   
Gita  Cima Vallocci (quasi)
Regione  Lombardia
Partenza  Foppolo  (1685 m)
Quota arrivo  2470 m
Dislivello  1130 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  Dordona (chiuso)
Attrezzatura consigliata  Ciaspole, ramponi, piccozza
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Discrete
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento Monte Chierico o Cima Vallocci? Questo è il nodo da tentare di sciogliere fino all’ultimo momento. Orientandosi sul Chierico l’intento sarebbe quello di compiere un giro ad anello partendo da Carona, ma l’idea di passare in un territorio notoriamente valanghivo come la Val Sambuzza, sebbene il pericolo oggi non sia marcato, e il conseguente timore di dovere fare dietro front mi porta a optare senza rimpianti per la soluzione Vallocci, attratto dalla voglia di tastare con mano quanto di affascinante e spettacolare ho sempre visto di questo itinerario solo in foto. Arriviamo così a Foppolo e non appena aperta la portiera dell’auto una seppur debole brezza ci avverte che la giornata sarà fredda, ma non ci coglie impreparati perché sapevamo che sarebbe stato così. Nelle fasi preparative prima della partenza uno scialpinista ci passa di fianco e si dirige spedito in salita. Mi volto ripetutamente a guardarlo e inizio a chiedermi se non sarebbe stato opportuno affrontare questa escursione sci-muniti, ma la mia poca dimestichezza con gli sci mi convince che saggiamente abbia preso la decisione giusta, si tratterebbe pur sempre di una escursione di livello BS, e non penso di meritarmi quella “B”… Piedi-muniti ci incamminiamo perciò in direzione Passo Dordona, ma tempo pochi minuti e saremo nuovamente fermi. La consistenza irregolare della neve ci suggerisce infatti di calzare le ciaspole per evitare di annaspare inutilmente nel nostro incedere. Percorsi pochi altri metri e sopraggiunti all’inizio del bosco ci si pone un dilemma: saliamo a prendere la strada soprastante o prendiamo il sentiero che tira dritto verso il passo? Ho percorso in passato entrambe le soluzioni in una veste spoglia da neve, e mi pare di ricordare che il sentiero avesse alcuni tratti un pochino esposti che in condizioni invernali immagino possano diventare ostici. Questa idea che mi frulla per la mente ci invita perciò a dirigerci verso l’alto in direzione della strada, con la consapevolezza che sarà la soluzione migliore e più rapida. Niente di più sbagliato. Il tempo di due curve e quella che dovrebbe essere una strada in più punti è diventata a sorpresa un pendio di neve abbastanza ripido. Niente di tragico, il tutto è pure tracciato dal passaggio di escursionisti e scialpinisti, se non per il fatto che siamo costretti a levarci le ciaspole messe poco prima per calzare i ramponi, visto che il passaggio non ci infonde tutta questa fiducia che possa essere affrontato a cuor leggero. Nel frattempo incontriamo una nostra vecchia conoscenza intenta ad affrontare il medesimo percorso sulla via di ritorno. Ci comunica di avere effettuato la salita senza problemi proprio per il sentiero scartato in precedenza al bivio, giusto per aumentare il rimpianto di non essere saliti anche noi di lì… Arriviamo così al Passo di Dordona e iniziamo a renderci conto che per un motivo o per un altro i tempi sulla tabella di marcia si stanno allungando. Scendiamo diretti verso l’omonimo rifugio, ma a metà del traverso, costretti dal nostro passo che per via della neve nuovamente inconsistente ci rende il cammino difficoltoso, siamo di nuovo fermi per togliere i ramponi e rimettere le ciaspole, fiduciosi che stavolta le terremo fino al colletto che introduce alla cresta finale della Vallocci. Ben presto anche questa pseudo certezza si rivelerà un’illusione. Passato il rifugio sopraggiungiamo infatti a quello che pensavo fosse un normale sentiero e che invece è un nuovo traverso un po’ esposto, impossibile da affrontare con la ciaspole. Un bel po’ snervati togliamo perciò nuovamente le ciaspole e rindossiamo i ramponi. Passato il traverso ci dirigiamo nell’ampio vallone che conduce alla cresta, con la frustrazione dovuta dalla consapevolezza che sicuramente entro qualche minuto dovremo di nuovo togliere i ramponi a favore delle ciaspole. E così sarà. Il freddo è veramente pungente e complica tutte queste operazioni di togli e metti. Senza guantoni è tutto infatti virtualmente più agevole, ma l’autonomia a mani scoperte prima che le dita si blocchino è questione solo di secondi. Con i guantoni le dita si muovono, anche se non propriamente come quelle di un pianista, ma ogni operazione che in teoria dovrebbe essere semplice diventa maledettamente più complicata dall’ingrombo da loro “offerto”. A questo punto ci rendiamo conto che non solo i tempi sulla tabella di marcia si stanno allungando, ma che sono altresì saltati completamente diventando biblici. La cima è lassù e sembra ancora lontanissima, l’altimetro mi conferma che ciò che sembra in effetti impietosamente è. Inizia a montarmi la rabbia e la voglia di tornare indietro, finora ho passato il tempo a guardare troppo tanto l’attrezzatura e troppo poco il bellissimo ambiente circostante, non trovo un senso a ciò che sto facendo. Susanna cerca di convincermi a salire almeno fino al colletto, io nel momento di sconforto la trovo una ipotesi insensata, se poi non raggiungeremo la cima. Un attimo di riflessione e decidiamo così di… proseguire. Il passo adesso è spedito, il fiatone pure. Guadagniamo finalmente quota in modo tutto sommato rapido. Butto continuamente l’occhio sull’altimetro per valutare quanto è rapido. Giungiamo così al fatidico colletto, la sensazione è comunque quella di essere fuori tempo massimo. E’ infatti pomeriggio inoltrato, non mi sarei mai aspettato di arrivare qui così tardi. Nonostante questo, decidiamo di proseguire per la vetta, non prima di avere per l’ennesima volta effettuato un cambio di attrezzatura in favore dei ramponi. Per muoverci in modo più agevole decidiamo di lasciare gli zaini al colletto e, impugnata la piccozza, affrontiamo la cresta. L’ambiente è veramente stupendo, la fatica e la frustrazione accumulate spariscono, gratificati da ciò che i nostri occhi vedono. La vetta si avvicina, ed evitando qualche buco inquietante sul percorso arriviamo a quello che per gli scialpinisti è il deposito sci. Manca ormai poco, sembra fatta, ma decidiamo di fermarci qui. L’ultimo tratto richiede infatti cautela, ho il timore che la fretta ci possa fare commettere qualche ingenuità quando non sono invece ammessi errori. Torniamo perciò indietro con quel pizzico di malinconia per non avere portato interamente a termine l’escursione, ma comunque felici dello scenario che quel tanto agognato tratto di cresta ha saputo offrirci. Decidiamo di provare a scendere ramponi ai piedi, perché sappiamo che le ciaspole le avremmo dovute nuovamente togliere dovendo ripassare per il traverso dopo il rifugio Dordona, che i ramponi li richiede. Con qualche contenuta difficoltà riusciamo nell’intento, siamo abbastanza esausti e la risalita dal rifugio al passo in quelle condizioni psicofisiche si rivelerà dunque doppiamente faticosa. Cala sempre di più il buio e la cosa ci costringe a tirare fuori la pila frontale per affrontare l’ultimo tratto di discesa passando per il sentiero scartato diverse ore prima. Non mi capacito di quanto tempo abbiamo perso durante l’arco della giornata, non mi sembra vero di essere ancora lì. Giusto il tempo di accorgerci che in effetti il sentiero sarebbe stata la scelta di gran lunga migliore anche per salire e siamo alla macchina. Una sensazione mi avvolge in particolare, ciò che inizialmente pareva essere solo un trascurabile sentore ora è per me una certezza. Ovvero, che questa escursione in condizioni invernali strizzi decisamente l’occhio molto di più agli scialpinisti che agli escursionisti. Cercherò di fare tesoro di questa esperienza per il futuro quando sceglierò i miei itinerari!

Foto 1: Traccia GPS
Foto 2: Nei pressi del Passo Dordona
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